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TheWineBlog.it – articoli sul vino

Famolo strano

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Non fai in tempo a scrivere un paio di post sugli antociani dell’uva, e di come una colorazione blu scura sia più gradita di quella rossa, che subito ti prendono in parola e tirano fuori i pomodori neri, i “Sun Black”, come strombazzato dalla Stampa e dalla televisione.
Le ragioni ufficiali per cui il pomodoro nero è meglio di quello rosso, sono il maggior contenuto di antiossidanti e di vitamine che, come è noto, allungano la vita e hanno anche un leggero effetto Viagra. Le ragioni reali, come spiegato dal Reset-Italia e soprattutto dal sito del CNR (stiamo parlando del 2006, altro che novità!!), sono le seguenti:

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Maledetta Peonina

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(Clicca per ingrandire)
Credo che la figura qui sopra spieghi qualche cosa riguardo al “peccato” originale dell’enologia italiana, nonché riguardo alle ultime tristi vicende legate allo scandalo noto come “Brunellopoli”.
Sono infatti rappresentati i “profili antocianici” di vari vini ottenuti da vitigni coltivati in Italia, ovvero il contenuto percentuale dei 5 antociani responsabili del colore del vino rosso, e delle loro forme esterificate (altri). Fra i suddetti antociani la Malvina dà colorazioni intense tendenti al blu ed è ritenuta da sempre la molecola più stabile e resistente all’ossidazione. Al contrario la Peonina tende maggiormente al rosso, e si ossida più facilmente verso tonalità granata e mattone. Vi dice qualche cosa?

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La reciprocità dei polifenoli

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La lettura sul sempre interessante Winesurf di questo e di questo articolo sull’uso dei tannini in enologia, mi ha ispirato una considerazione paradossale.
L’uso di questi preparati di origine talvolta totalmente estranea all’uva, è oramai un fatto diffuso e accettato senza tanti problemi. I motivi sono ampiamente spiegati dai due articoli citati. Tra le altre cose i tannini sono apprezzati come stabilizzatori del colore dei vini rossi, in quanto si legano con gli antociani formando composti colorati più scuri e più resistenti all’ossidazione. Orbene, vediamo se invece io riesco a essere chiaro nello spiegare questo paradosso.
Tannini e antociani sono entrambi polifenoli, e hanno come costituente della loro molecola lo ione flavilio (che bel nome) rappresentato in figura. Sono due molecole “moralmente” equivalenti, se mi si passa il temine. Si legano e si stabilizzano a vicenda.
Ma allora perché è accettato l’uso di tannini esogeni alla propria uva per stabilizzare il colore del vino, e invece respinto l’uso di antociani esogeni per stabilizzare i tannini? Perché posso usare tannini per dare al barolo un colore più stabile, e non posso usare, chessò, la malvina estratta da una melanzana per smussarne e stabilizzare i tannini, ottenendo anche un bel blu profondo?
Mistero!

Luk

Indici

Per tenere sotto controllo lo sviluppo vegetativo della vite nel corso della stagione, gli agronomi sono soliti ricorre agli indici pedoclimatici. Tali indici sono solo elaborazioni numeriche delle condizioni del pedoclima, cioè dell’insieme delle condizioni fisiche e chimiche dello strato superficiale del terreno, dipendenti dal clima stesso. Fra le grandezze fisiche e chimiche che normalmente si prendono in considerazione, la temperatura T in prossimità del suolo è probabilmente la più importante. Prima di proseguire con questo post, pregherei l’incauto lettore di scaricare e leggere quanto riportato in questo link. Lo so, sono pigro, ma quantomeno chi non ha trovato l’argomento interessante, può tranquillamente transitare su un altro blog.

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Invecchiare

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C’è un cambiamento climatico in atto, una tendenza all’aumento della temperatura media. Tutti lo sostengono oramai, con dosi più o meno elevate di allarmismo. Non si sa ancora esattamente se il fenomeno abbia origine antropica (effetto serra) o dipenda da altri fenomeni geolocici ciclici. Questa cosa devo dire che mi turba; forse sarà che soffro il caldo!
Dal punto di vista enologico sono ancora più turbato. Se un milesimo come il 2003 diventasse la normalità e non l’eccezione, cosa occorerrebbe fare per evitare di ripetere i disastrosi risultati espressi dai più blasonati vini italiani? Che tipo di gestione della vigna occorrerà mettere in pratica? A queste domande sta pensando un sacco di gente. Nuovi indici pedologici aiuteranno a selezionare nuovi terroir (di questo parleremo più avanti); pratiche come la sfogliatura intorno ai grappoli andranno in pensione; le esposizioni dei filari andranno ripensate; anche i vitigni subiranno la loro bella rivoluzione, ed inevitabilmente tutto ciò avrà un riflesso sui disciplinari di produzione.
E in cantina cosa occorrerà fare per preservare aromi e fragranze? Esattamente su questo tema ho letto alcuni scritti del Prof. Mario Fregoni pubblicati da VQ, da cui mi sono permesso di estrarre alcune frasi, che riporto letteralmente.

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Il piede (non franco) sbagliato

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La Val di Vara, in provincia di La Spezia, oltre ad essere un territorio selvaggio e di grandissima bellezza paesaggistica e naturalistica, ha anche grandi potenzialità enologiche. Ne sono convinto, l’ho sempre sostenuto (qui) e anche cercato nel mio piccolo di dimostrarlo (qui). D’altro canto la Valle è sempre lì, e chiunque può andarci e rendersene conto. Si tratta di un “terroir” privo di una storia enologica nota ai più, quindi da “inventare” intelligentemente, con rispetto di quel poco (o tanto) di tradizioni che ancora paesi come ad esempio Montale possono vantare.

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